Santiago Álvarez, l’occhio della rivoluzione cubana

1960-1977

 

candidato: Niccolò Bruna                                                 relatore: prof. Dario Tomasi

 

 

Il cinema documentario cubano ha il compito urgente di trovare il modo per realizzare film rivoluzionaricon una tecnologia economica e con mezzi agili e semplici di produzione.

Questo è il suo grande contributo alle future cinematografie del terzo mondo e, in particolare, a quelle dell'America Latina

 

Julio García Espinosa

 

Il presente studio intende riconoscere il modello di documentario elaborato da Santiago Álvarez tra il 1960, anno successivo al trionfo della rivoluzione cubana, ed il 1977, data convenzionale del ripiegamento di ogni spinta innovatrice.

Álvarez, insieme ad un’intera generazione di intellettuali e cineasti, prese le mosse del proprio cinema partendo dall’impegno politico ed indirizzando ogni sforzo creativo alla trasformazione ideologica e sociale del popolo cubano. Una vera e propria connivenza creativa tra cinema e potere, basata su una solida comunione d’intenti con la classe dirigente. La storia e la politica di Cuba andranno prese in considerazione, con prelievi del tutto arbitrari, per comprendere la situazione artistica e intellettuale successiva alla presa di Fidel Castro. Solo conoscendo il contesto ideologico e produttivo della rivoluzione cubana si può interpretare l’esperienza di artisti e intellettuali che, come in pochi casi nella storia del cinema, si sono trovati coinvolti in tale misura nel processo storico che hanno vissuto.

Il cinema cubano è un caso unico ed esemplare, attento all’esperienza delle avanguardie artistiche e del sovietico degli anni ’20, del quale ripropone le problematiche aggiornandole alla società dei mezzi di comunicazione di massa, in un mutato assetto internazionale. Sviluppato dal nulla, senza una base culturale autoctona e privo di strutture produttive ad esso destinate, il cinema rivoluzionario cubano rappresenta una delle fucine culturali ed artistiche più artificiali ed utopiche della storia del cinema. Un'industria ed un'arte fortemente volute dal capo della rivoluzione, che a tre mesi dalla presa del potere fonda l'Instituto Cubano del Arte e Industria Cinematogràficos, la prima istituzione culturale a carattere nazionale. Inoltre, proprio in quest’intervento di politica culturale sono rintracciabili le prime manifestazioni di un avvicinamento del regime al socialismo.

La nostra trattazione affronta questi aspetti - la politica istituzionale, il legame tra arte e storia, la formazione di un linguaggio del documentario - tenendo conto dei risultati filmici e delle soluzioni di volta in volta adottate.

 

Un'analisi dei film è inevitabile dopo tante premesse generali. Il documentario cubano è la forma di cinema che meglio ha saputo realizzare il mandato della rivoluzione; Álvarez non solo è il documentarista più rappresentativo e coerente nel panorama cubano, ma ha dalla sua una produzione continua e mutevole, in 38 anni di instancabile attività (oltre 600 cinegiornali, 120 documentari in pellicola e 12 in video, ma anche un cortometraggio ed un lungometraggio di finzione). Il cinema di Álvarez sperimenta nuove forme di linguaggio applicate alla promozione politica ed alla mobilitazione popolare, mettendo in discussione la nozione consueta di cinema documentario.

Per considerare la complessa problematica della libertà artistica all’interno dello Stato di regime, è necessario calare l’analisi in una diversa prospettiva, che prevede l’inversione del termine “manipolazione” con la nozione di “efficacia comunicativa”. Ci limiteremo ad identificare quest’aspetto linguistico, nel tentativo di decifrare le modalità con le quali il cinema di Álvarez raggiunge un effettivo valore comunicativo.

Il modello di documentario proposto da Santiago Álvarez, per quanto adattabile a situazioni e stili sempre diversi, risulterà riconoscibile nei suoi tratti essenziali. Si tratta di un modello mobile, pronto a trasformarsi a seconda della situazione contingente e del rapporto con le finalità che l’opera si propone.

Nell'analisi e nella selezione dei film, viene adottato un punto di vista che si può considerare neoformalista, teso cioè al riconoscimento della “dominante” all'interno dell’opera e della funzione che essa riveste in un contesto più ampio, che trascende i limiti del testo. Qui si ferma la trattazione concludendo con l'analisi del modello produttivo proposto dal cinema documentario di Santiago Álvarez e di un esempio che ne applica la validità.

Santiago Álvarez è stato l'occhio della rivoluzione cubana, un testimone diretto e cosciente della storia del proprio paese. I suoi film sono magnifiche testimonianze di un’importante epoca storica e di un punto di vista che non ha timore di esibirsi.