Autore: Valecchi Valentina |
Relatore:
Alessandro Tinterri |
|
Correlatore: Caterina Zappia |
Estratto
della tesi: Il termine «documentario
d'arte», che evoca
nei più il ricordo di mattinate scolastiche interrotte da provvidenziali
proiezioni, viene associato a quei film un po' soporiferi capaci spesso di
neutralizzare l'attenzione anche degli spettatori più motivati. Nella nostra
ricerca abbiamo notato che, in effetti, molti documentari sull'arte tendono a
distrarre, a non accattivare, non attirare l'attenzione, e forse è anche per
questo che è dato loro poco spazio in televisione, mentre esistono addirittura
canali satellitari ideati per la trasmissione di documentari scientifici o
storici.
Il
documentario in generale, non solo quello sull'arte, è stato a lungo
considerato un genere di serie B, un "fratello povero" del cinema,
non un'espressione dell'arte e della sensibilità del regista ma solo una riproduzione meccanica del mondo circostante.
Eppure si afferma da tempo che esso non
è solo documentazione, è dialogo con il pubblico. Nomi come Robert Flaherty,
Dziga Vertov, John Grieson, Joris Ivens dimostrarono ben presto come il
documentario poteva avere lo stesso valore creativo del cinema di finzione.
Ivens stesso disse:
Il dialogo che il documentarista ha con il pubblico è più profondo di
quello che stabilisce un regista di film. E' più facile raccontare una storia
che interessare e commuovere descrivendo e penetrando un'esperienza della vita
reale. Nel documentario si deve fare appello al contempo all'intelletto e al
cuore, si deve essere lucidi ed emozionanti.[1]
C'è da dire,
comunque, che oggi si cerca di riportare il documentario accanto al film di
finzione e c'è un maggiore interesse intorno a questo genere. Nel nostro paese,
più che all'estero, questo prodotto audiovisivo è però ancora pensato e
interpretato nelle strette maglie del solo prodotto televisivo e con la
prevalente funzione educativa (documentari di divulgazione naturalistica,
reportage, documentari storici con taglio tradizionale, che utilizzano
materiali d'archivio e commento fuori campo). Poco spazio nella nostra
televisione è dato invece a quei documentari di creazione, detti anche
"nonfiction film", documentari d'autore che liberamente interpretano
aspetti della società della storia,
dell'arte, opere cinematografiche che vivono di vita propria, di grande valore,
ma che non trovano visibilità.
Per quanto ci
riguarda siamo andati a indagare sull'esistenza di film sull'arte creativi
avendo in mente il ricordo di due mostre in cui ci era parso di vedere film di
elevato spessore artistico: ciò era avvenuto durante la visita alla mostra retrospettiva su Mario
Schifano, allestita a Roma nel 2002 e ad un'altra su Antonio Ligabue, allestita
ad Arezzo nello stesso anno. Entrambe presentavano film sugli artisti dal taglio particolare e insolito. Piuttosto
che farci assistere ad un commento critico, piuttosto che educare, quei film
presentavano Schifano e Ligabue, dalle personalità tra l'altro molto
affascinanti, al lavoro o nei momenti di vita quotidiana. Dopo l'esperienza di
quei ritratti di sorprendente forza emotiva, si percorreva la mostra, si
guardavano i quadri sentendo ancora l'eco delle voci dei loro artefici,
ricordando i loro atteggiamenti, affascinati dalla loro particolare energia che
traspariva nei film e che si cercava di rintracciare in ogni particolare delle
loro opere. Dalle due mostre si usciva con l'impressione di aver conosciuto gli
artisti, di aver capito un po' più della loro arte e con un vago senso di paradossale
nostalgia per un personaggio conosciuto solo attraverso un film…
Nome e Cognome: Valecchi Valentina
Indirizzo e-mail: violavale@hotmail.it
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