Facoltà di
Lettere e Filosofia
Anno
Accademico 2003-2004
Laurea in D.a.m.s. Cinema
CINEMA COME PRATICA SOCIALE:
di Marcello Galia
relatore: Michele Canosa
correlatore: Pietro Favari
Obiettivo di questa tesi è quello di fare luce sul percorso cinematografico di Ugo Gregoretti, figura poco classificabile ma molto nota all’interno del panorama culturale italiano. Il cinema è soltanto uno dei campi in cui, nel corso degli anni, Gregoretti si è cimentato ed avendo iniziato a lavorare in RAI fin dal 1953, anno della nascita dell’emittente, è noto ai più come volto televisivo.
Inizia, matura e in un certo
senso conclude il suo
percorso nel cinema durante gli anni Sessanta, dei quali sarà uno dei
più vivaci e attenti interpreti, i cui avvenimenti influenzeranno non poco le
sue scelte. Sarà soprattutto il 1968 e il conseguente sviluppo della sensibilità politica che questo anno genererà a
cambiare il suo modo di fare cinema - passando dalla fiction al documentario -
e la sua vita. Per questo sono stati presi in esame quattro suoi lavori, due
prima e due dopo il ’68, dando ampio spazio a quello
che quest’anno genererà in particolare nel cinema.
Filo comune di questi quattro lavori è quella che ho chiamato “pratica
sociale” e che contraddistingue tutto il cinema di Gregoretti, riuscendo in
questo modo a compiere un’esperienza che lo avvicini alla società. Nel primo
capitolo prendiamo in esame il Gregoretti pre-sessantotto. Con I nuovi angeli (1962),
un’indagine sui giovani italiani negli anni Sessanta, analizza gli aspetti più
strettamente legati al costume dell’epoca, quell’insieme di credenze e usanze
che caratterizzano gli anni del boom economico. La tecnica usata è tra
il documentario e la fiction, attraverso la
ricostruzione cinematografica di temi d’attualità, usando soltanto attori non
professionisti. Con Omicron (1963)
punta l’obiettivo su una fabbrica e unendo fantascienza e denuncia sociale
inizia ad osservare una società che non è più quella del benessere, ingenua e
spensierata, ma in cui si fanno strada le
rivendicazioni sociali, anticipando di molto le agitazioni operaie del ’68-’69,
il secondo biennio rosso della storia italiana.
Nel secondo capitolo ci si occupa del 1968, degli avvenimenti che si
susseguirono e della conseguente politicizzazione del
cinema che avrebbe portato alla nascita anche in Italia del cinema militante.
Quindi ho cercato di trovare, attraverso l’analisi dei più significativi
documentari militanti del periodo ’68-’69, le caratteristiche essenziali di
questa forma di cinema, riducendo il campo ai soli esempi italiani.
Nel terzo capitolo arriviamo al ’68 di Gregoretti. Apollon,
una fabbrica occupata (1968) e Contratto (1969) segnano la svolta
per il regista. Girati a poca distanza l’uno dall’altro e a ridosso delle
agitazioni sessantottine, costituiscono la risposta concreta e utile di
Gregoretti al problema del collegamento alla classe operaia. La sua analisi
perde quella distanza
tipica dell’osservatore esterno, quasi del sociologo, per entrare a far parte
della società che osserva. Entrambi girati al fianco degli operai: il primo in
una fabbrica occupata alla periferia di Roma, il secondo in giro per l’Italia a
testimoniare l’“autunno caldo”, la più grande ondata
di scioperi operai dell’Italia repubblicana.
Questi documentari saranno il frutto di un avvicinamento alle ragioni della contestazione, che lo porteranno a essere tra i leader del blocco del festival di Venezia nel 1968, e del cinema militante, con il quale i rapporti furono però turbolenti. L’accusa mossa a Gregoretti era quella di “riformismo”, accusa che non gli impedì di continuare a fare cinema di impegno politico per tutti gli anni Settanta.
Infine in appendice è riportata una lunga conversazione avuta con Ugo Gregoretti, utile al fine di comprendere un percorso piuttosto anomalo nel panorama cinematografico italiano.
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