Università degli Studi di Pavia
Anno accademico
2005/06
Laurea in Editoria e Comunicazione Multimediale
UN GENERE CINEMATOGRAFICO: LA
DOCU-FICTION
Il caso di 150 ore a Pavia
Autore: Laura Marchesi |
Relatore: Vincenzo Buccheri |
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Correlatore: Giampaolo Azzoni
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Introduzione
Spesso la parola documentario viene relegata ad un ruolo meramente riproduttivo,
nell'accezione più banale del termine e si scarta ogni ipotesi che possa invece
essere luogo di sperimentazione linguistica e di processi di messa in forma
della realtà.[...] Scrive Bill Nichols [...] : “se il documentario fosse una
riproduzione della realtà, questi problemi [di definizione del documentario]
sarebbero molto meno sottili. Ci troveremmo semplicemente di fronte a una
replica o una copia di qualcosa che già esiste. Ma esso non è una riproduzione
della realtà, bensì una rappresentazione
[corsivo mio] del mondo in cui viviamo”
[Nichols, 2001 :31]. La posizione di Nichols, a cui farò costante riferimento
nella mia trattazione, non è affatto rigida, lui non crede in uno specifico
documentario, ma al contrario sa che fiction
e nonfiction si
contaminano spesso e volentieri grazie ai vasi comunicanti creati dagli autori.
Il documentario oramai è sempre meno un tipo di cinema che si limita a documentare.
Lo sguardo soggettivo dell'autore è qualcosa da cui non si può prescindere: un
autore ci offre sempre, anche se non lo fa volontariamente, una sua personale
interpretazione di fatti che lo hanno colpito. Il problema della definizione
della pratica documentaristica rientra nel generale rapporto tra cinema e
realtà. Il genere documentario non può vantare il monopolio esclusivo del
riproporre sullo schermo dati oggettivi, provenienti dal mondo reale. Non
possiamo prendere per buona l'opinione comune che colloca i film di finzione
nel reame della pura fantasia e dell'immaginazione assoluta e i film
documentari nel recinto della riproduzione fedele dei fatti concreti. La
consapevolezza che cerco di trasmettere nelle prime pagine della mia
trattazione è che nei rapporti con la realtà i confini tra film documentario e
film di finzione (o fiction
come si usa dire) sono molto più labili
di quanto si tenda comunemente a credere e a dare per scontato. E' vero che gli
aspetti di stile, di forma narrativa, di struttura di script, per esempio,
possono valere come prove del fatto che quello che stiamo vedendo sia fiction o meno, e viceversa, ma queste non sono le discriminanti che
rendono fiction e documentario tali. Semplicemente non ci sono aspetti formali
necessariamente condivisi da tutti i film di finzione e necessariamente assenti
da tutti i film non di finzione. Visto dunque che molto spesso film di finzione
ricorrono a tecniche stilistiche tipiche del documentario e viceversa, la
distinzione tra fiction
documentario deve essere tracciata
avvalendosi di altri criteri: il criterio per molti più valido è quello di
individuare l'impegno
che l'autore di un film si prende nel
momento in cui presenta al pubblico il suo testo. Come scrive Noël Carroll in
altre parole la distinzione tra fiction e non fiction “is a distinction between
the commitments of the texts, not between the surface of the texts” [Carroll,
1996: 176]. L'assunzione di responsabilità riguardo al contenuto del film da
parte della produzione, può essere un mezzo ulteriore per trasmettere nel modo
più efficace informazioni vere ad un pubblico sempre più vasto. [...] Nel
documentario la ricomposizione, o ricostruzione analogica, della realtà
oggettiva si può realizzare a diversi livelli. Si tratta di scalini che
progressivamente si avvicinano sempre più al confine del cinema di finzione ma
non lo varcano. Proprio in quella zona grigia a metà strada tra documentario e
fiction sta la docu-fiction. La docu-fiction
non è certo un genere nuovo, tant’è che
il primo autore che fuse fiction e documentario fu Robert Flaherty con Nanook of the North (1922). Questo è stato in un certo senso il primo vero film
di docu-fiction della storia, in cui venivano ricreati e messi in scena
eventi e situazioni che non stavano “accadendo” in modo spontaneo. Diviene
quindi evidente come la problematica fiction/non-fiction sia in realtà
anch’essa relativa, visto che sin dalle origini è stata caratteristica quasi
imprescindibile del “mestiere”. La stessa distinzione tra cinema documentario e
cinema di finzione è in un certo senso arbitraria. [...] La mia trattazione
vuole indagare, senza alcuna pretesa di esaustività, il difficile rapporto tra
fiction e non fiction che si concretizza nella docu-fiction. Per fare questo ho previsto di articolare il lavoro in tre
parti. Nella prima parte cercherò di dare una definizione di documentario
condividendo quella avanzata da Nichols per poi passare ad affrontare la
questione della distinzione tra fiction
e non-fiction. [...]
Il mio tentativo è quello di descrivere le caratteristiche principali e
ricorrenti in una docu-fiction; i suoi obiettivi; di indagare la questione terminologica
ad essa collegata. Illustrerò anche due collaudate tradizioni di docu-fiction, una americana e l'altra inglese: il documentary drama e il dramatized
documentary. Infine esporrò le
critiche che da più direzioni vengono avanzate alla docu-fiction. Tutto ciò non solo avvalendomi di categorie
cinematografiche ma anche di categorie semiotiche e della filosofia del
linguaggio. Nella seconda parte della tesi illustrerò l'attività svolta da me
in sede di tirocinio didattico [...]nell'ambito della produzione della docufiction 150 ore a Pavia con la regia di Francesco Scarpelli. [...] L'ultima parte
della tesi riporta invece i colloqui da me avuti con 5 giovani registi italiani
che lavorano, o hanno lavorato in passato, nell'ambito della docu-fiction: Francesco Scarpelli, Elisabetta Pandimiglio, Matteo
Garrone, Federico Rizzo, Marco Amenta. Con loro ho cercato di indagare il punto
di vista degli addetti ai lavori riguardo alla docu-fiction in contrapposizione a quello visto nella prima parte,
tipicamente da accademici e teorici del cinema.
Dati dell’autore
Nome e Cognome: Laura Marchesi
Indirizzo e-mail: lauraardeen@yahoo.it