Facoltà di lettere e filosofia
Corso di laurea in lettere moderne
I documentari di Vittorio De Seta
(1955-1959)
Relatore: prof. Raffaele De Berti
Correlatore: prof. Nicola
Scaldaferri
Tesi di Giuseppe Scandiffio
Anno accademico
2003-2004
Caratteristica
essenziale del cinema – almeno di un certo tipo - è congelare l’attimo, ovvero
riprendere la flebile eternità di un atto, un gesto unico che non si ripeterà
mai più. De Seta nel suo lavoro ha ritratto l’ultimo sussulto di un mondo
perduto, dimenticato. Una cultura che lentamente si dileguava, condannata non
solo alla morte, ma anche a essere dimenticata per la sua irriducibile
alterità, poiché patrimonio di conoscenze essenzialmente orale, appartenente
pertanto a un sistema culturale impietosamente sconfitto e umiliato dalla
storia. Con essa si è smarrita per sempre nel vento dei tempi anche la sua
lieve voce e perdute si sono le storie arcaiche che avrebbe potuto narrare. La
macchina da presa di De Seta riprende infatti un mondo mitico, la cui aura è
dovuta al fatto che è ormai prossimo a un silente crollo, a una stanca morte.
Rimangono a
noi queste folgoranti immagini impresse su pellicola, a rimembrare un tempo
perduto. In effetti questi film non sono gli unici documenti rimasti a
testimonianza di quella civiltà perduta. Ciò che li rende unici sono la forma e
la visione autoriale impresse come un marchio a fuoco sulla superficie delle
pellicole. La stupefazione di un outsider intellettuale di origine nobile che
assiste alla fine di una civiltà, che proprio per le sue caratteristiche
distintive – l’oralità, la povertà, la sua ricchezza culturale e poetica
visceralmente diverse dal mondo dei trionfatori – non ha potuto - in fondo
neanche voluto, preferendo la gelida morte al mutamento che l’avrebbe snaturata
- lasciare segni del proprio
plurimillenario passaggio. Lo sguardo di De Seta si rende conto di questa
distanza infinita, intende di non potere capire a fondo neppure lui ciò che riprende,
tanto diverso e altro è il sistema morale e estetico delle civiltà pastorale e
contadina. Eppure pur in questa consapevolissima mancanza di comprensione, il
regista ha tuttavia l’impressione di una
immensa bellezza perduta, della quale queste abbaglianti immagini sono un segno
al tempo stesso povero e splendente. Testimonianza che ha l’aura di un viaggio
a ritroso in un tempo perduto e in un mondo dimenticato.
Il senso
profondo dei documentari di De Seta - il motivo per cui vale la pena ricordarli
e, soprattutto, vederli – è che al di là del nostro mondo, apparentemente privo
di confini ma in effetti così limitato e prevedibile, dove tutto è scontato e
pianificato, esistevano – in alcune regioni rispetto a noi remote, forse,
sussistono tuttora – culture in cui l’elemento mitico, leggendario, epico sono
ancora presenti. Il tempo delle epopee è per sempre morto, tuttavia vale la
pena serbarne la memoria.
Dati dell’autore: Giuseppe Scandiffio
Indirizzo e-mail: gscandiffio@tiscali.it
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