Autore: Chiara Scardamaglia |
Relatore: Renato
Tomasino |
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Correlatore:Filippo Amoroso |
Estratto della tesi:
Uno sguardo al panorama cinematografico
italiano degli anni ’60 e ’70 permette di individuare il sostanziale ritorno
dell’ottica realista strettamente ancorata al momento storico e alla cronaca
sociale, un’attenzione nuova ad aspetti della realtà usciti all’improvviso
dallo sguardo della macchina da presa (attenzione che ha profondamente
caratterizzato l’italianità nel cinema, se si pensa all’importanza epocale del
nostro Neorealismo) ed una nuova e seria coscienza dei cineasti nel recuperare
un ruolo di primo piano nell’esternazione di messaggi universali attraverso le
loro strutture comunicative. Cresce l’esigenza diffusa di raccontare l’Italia
per immagini ma soprattutto cresce la volontà di denunciare un paese che ha
tradito le speranze di tanti e che ha lasciato invece spazio all’immobilismo
politico e di conseguenza culturale. Elio Petri da cineasta sperimentatore,
coraggioso e dalle salde convinzioni ideologiche (comuniste) si inserisce in
tale percorso cercando però una propria cifra creativa, per coniugare
l’esigenza interiore e dolorosa di esternazione con l’illusione di incidere
sulla coscienza collettiva. L’operazione progettuale del cineasta, simile
nell’obiettivo demistificatorio a quella dei suoi contemporanei, presenta
sostanziali diversità, in relazione allo scopo utilitaristico perseguito:
un’ampia comprensibilità per un pubblico popolare in netta opposizione alle
difficoltà intellettualistiche del cinema “militante”, una prospettiva
sociologica, antropologica e soggettivistica ed una sagacia narrativa originale
in antitesi alle ricerche lucidamente documentaristiche o ai prodotti
superficialmente “confezionati” del cinema “civile”. Il realismo di Elio Petri,
per non comportare regressione estetica, si avvale di un contraltare immaginifico
e grottesco che ne amplia le possibilità di lettura, rendendo plausibile una
molteplice interpretazione del testo e una pluralità di livelli di fruizione.
La godibilità estetica e l’appropriazione di stilemi del cinema spettacolare e
d’intrattenimento, per contenuti progressisti e per tesi sociali e sociologiche
complesse, permettono una superficiale inclusione della filmografia nel
macrogenere della commedia all’italiana non inficiando la possibilità di
oltrepassarne i limiti mediante un’incisiva violenza testuale e l’originale
ricercatezza dell’espressione. L’analisi intrapresa si propone la lettura delle
riflessioni profonde, delle suggestioni psicologiche, delle metafore
apocalittiche contenute in tessuti filmici che nella struttura superficiale
presentano impalcature di genere definite e autosufficienti, rischiando, con la
predilezione per una critica tematica che rintraccia sfondi storici e spunti di
riflessione, la trascuratezza nell’approfondimento delle modalità tecniche
d’attuazione di difficile assimilazione per chi non è addetto ai lavori. I film
di Petri contengono in sé una calda materia narrativa; un sostrato sociologico
e storico-politico elaborato e articolato che trae nuova linfa vitale
nell’appoggiarsi ai generi e alla fiction, nella ricerca del divertissement,
eliminando così i rischi del compiacimento intellettuale e della chiusura
narcisistica. Con ciò non intendiamo additare la facilità di lettura all’opera
quanto riconoscere l’onesta e la coerenza di un cinema che, spesso tacciato di
contraddizione ideologica nell’aderire alle strutture consolidate
dell’industria, si rivela invece veicolo di diffusione critica proprio per
l’attrazione estetica e per la metaforicità ricercata. Mediante l’ausilio
necessario del materiale audiovisivo e l’interessantissima testimonianza di Ugo
Pirro (raccolta personalmente in occasione di un incontro svoltosi nella sua
abitazione romana il 12 Luglio 2001) collaboratore indispensabile alla
realizzazione dei più completi e riusciti film, quali A Ciascuno il suo,
Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto e La Classe operaia va in
paradiso è stato possibile riscoprire una personalità artistica irruenta e
appassionata e una filmografia eclettica, variegata nella scelta dei soggetti e
nelle impostazioni stilistiche ma con una linea di continuità metodologica il
cui interesse va additato soprattutto alla bravura e alla forte coesione della
squadra creativa che si costituiva intorno ai progetti. Bisogna, infatti, non
sottovalutare l’apporto determinante di Tonino Guerra ed Ennio Flaiano (per le
prime opere) e di Ugo Pirro per la stesura delle sceneggiature, di Marcello
Mastroianni, Gian Maria Volontè, Salvo Randone, Flavio Bucci per le memorabili
interpretazioni e l’indispensabile ruolo dei tecnici specialisti: Luigi
Kuveiller per la fotografia, Ruggero Mastroianni per il montaggio Ennio
Morricone per la musica.